Sì, ho letto tutti i libri della saga Twilight e sì, ho visto anche tutti i film. Mi sono approcciato ai libri nel solito modo: stavo cercando qualcosa da leggere per l'estate, avevo preso una delle settecento copie in mostra di Twilight e ho letto questa frase:
"Di tre cose ero del tutto certa. Primo, Edward era un vampiro. Secondo, una parte di lui, chissà quale e quanto importante, aveva sete del mio sangue. Terzo, ero totalmente, incondizionatamente innamorata di lui"
Da fan sfegatato di Buffy - L'ammazzavampiri, ho pensato che questo fosse un libro sulla stessa falsariga. Volevo solo qualcosa per l'estate, mica un capolavoro. Comunque, non mi era dispiaciuto. Aveva assolto alla sua funzione di intrattenermi. Successivamente ho comprato tutti e tre insieme. Il secondo mi ha fatto schifo. Poiché li avevo già comprati tutti, mi dispiaceva non leggerli. Il terzo pure è bruttino. Il quarto... meh. Niente di che.
Ritengo che la Meyer sia una brava narratrice, in grado di toccare le corde delle donne, ma nulla più. Quando è uscito il film, Twilight, mi ci sono accostato con un minimo di curiosità.
E niente, faceva più schifo del libro. Molto di più.
Il motivo stava da rintracciare essenzialmente nei protagonisti. Kristen Stewart e Robert Pattinson non assomigliavano neanche lontanamente all'immagine che mi ero fatto leggendo il libro. La Bella del film non aveva un minimo di personalità, sembrava totalmente in balia degli eventi senza che potesse fare nulla per modificarli. Edward semplicemente un povero pazzo.
Questa volta non ho ripetuto l'errore e non ho visto gli altri film.
Almeno fino a qualche mese fa.
Mia sorella mi aveva convinto a dare una possibilità a Twilight e decisi di vedermi la saga quando l'hanno trasmessa su Canale 5. Per l'amor del cielo, l'impianto è quello dei libri della Meyer, quindi non mi aspettavo granché, ma devo dire che i film hanno sopperito una grande falla della Meyer: i combattimenti.
L'autrice non è molto brava con le scene d'azione e si limita a descriverle, senza metterci anima. O, peggio, fa svenire Bella nel momento clou. I film mostrano il lato violento della saga, proprio ciò che ci si aspetta da un film con vampiri e lupi mannari. Proprio i lupi sono forse la cosa più bella: le trasformazioni, i modi in cui si muovono, il modo in cui comunicano e trasmettono il senso di branco, è semplicemente perfetto.
Lo stesso si può dire per la battaglia finale. Anche se solo immaginata, e pur sapendo come sarebbe andata a finire, sono rimasto col fiato sospeso per tutto il tempo, incapace di muovermi o anche solo di sbattere le palpebre. Era talmente inaspettato e talmente bello che non potevo fare altro che ammirare come crepavano, uno dopo l'altro, vampiri e licantropi.
In sostanza, se proprio dovessi scegliere tra libro e film, opterei per la lettura di Twilight e per la visione di New Moon, Eclipse e Breaking Dawn.
P.S.: Alice è figa. Varrebbe la pena guardare i film solo per lei.
Settimana scorsa l'Unesco ha detto sì ai Caschi Blu della cultura. La notizia ha avuto enorme eco in Italia visto che la proposta è partita proprio dal Bel Paese, e saranno soprattutto Carabinieri a farne parte, coadiuvati da esperti.
Dopo le distruzioni che ha subito il sito di Palmira da parte dell'ISIS, la formazione di un corpo specializzato che protegga e incentivi la protezione della cultura nel mondo fa ben sperare. Eppure qualche dubbio sorge spontaneo.
Basta una brevissima ricerca su Google per essere sommersi da articoli sugli abusi dei Caschi blu (qui, qui, qui e qui, scegliendo solo i primi della lista) per capire che gli UNPROFOR, le forze di peacekeeping formate nel 1992 per creare situazioni di pace in Jugoslavia, meglio conosciuti come Caschi Blu, hanno fatto tutt'altro che proteggere.
Qualche domanda la si deve porre: anche i Caschi Blu della cultura faranno abuso del loro potere? E che tipo di abuso? Approfitteranno della situazione per un furto legalizzato stile Napoleone? Oppure faranno davvero il loro dovere e gli italiani saranno allora veramente fieri di aver proposto un corpo specializzato così in gamba?
Domande che non tarderanno a trovare una risposta. Per ora rallegriamoci, perché questa notizia ha anche un altro valore: qualunque siano gli scopi, la cultura è stata riconosciuta come un bene da difendere.
Giovane studentessa universitaria, la Raimondi è riuscita, con il suo romanzo d'esordio, a coronare un suo sogno. "I passi della vita" racconta la storia di una ragazza che a cuore aperto ripercorre gli anni più belli e anche più contrastanti, quelli dell'adolescenza. Dalle prime storie sentimentali ai drammi familiari, dalle controverse amicizie alla sete di popolarità, il romanzo raccoglie tutte le sensazioni provate, i sogni infranti e la speranza di ricominciare, con un pensiero costante che la guiderà: essere sé stessi e non arrendersi mai. Ho letto il romanzo e ho intervistato per voi l'autrice; vi presento Arianna!
1) Ciao Arianna, dicci qualcosa di te!
È sempre stata una domanda che reputo difficile parlare di
se stessi a ruota libera, comunque ci proverò.Sono nata a Milano, ma cresciuta a Bergamo. Studio lingue e letterature straniere
moderne e di tanto in tanto svolgo lavori part time (se la crisi me lo
consente). Sono sempre stata appassionata fin da piccola a musica e animali. A
14 anni ho abbandonato il mio sogno di fare la veterinaria e a 18 quello di far
musica.La scrittura è nata così, per
caso, successivamente. Per il resto, beh, mi definirei una ragazza ordinaria,
con la testa sempre fra le nuvole.
2) Come ti sei approcciata alla scrittura e quando hai
capito che sarebbe diventata la tua professione?
L'autrice
Se sarà la mia professione diciamo che non l’ho ancora
capito completamente, nel senso che sono ancora un'esordiente e per quanto mi
piacerebbe essere una scrittrice professionista, non spetta a me dire se lo
sarò o meno, ma ai miei lettori. Per quanto riguarda invece il primo approccio
con la scrittura, diciamo che è sempre stato qualcosa che era dentro di me, ma
che ho sempre sottovalutato e/o ignorato, proprio perché mi concentravo su
altro. Fin da piccola mi piaceva immaginare storie da raccontare ai coetanei,
oppure avventure da vivere. Un giorno, alle scuole medie, io e un'amica
provammo addirittura a scrivere un libro insieme, ma dopo pochi giorni
lasciammo perdere. Ho incominciato a scrivere veramente nel 2012 “i passi della
vita” che allora s'intitolava "il cambiamento". Lo scrissi perché
avevo capito da un po' che anche il mio sogno di far musica si era infranto e
avevo bisogno di sogni, di ambizioni per sentirmi viva. Poi capii che la mia
dote nello scrivere testi di canzoni e la mia fantasia potevano essere fuse
insieme ed essere usate per qualcosa come la letteratura. D’altronde di storie
vissute o sentite a cui ispirarmi ne avevo davvero tante, pur avendo poco più
di 19 anni. Così ad aprile 2012 cominciai a scrivere quel libro, e prima di
finirlo ed editarlo impiegai ben 3 anni!
3)Arriviamo a "i passi della vita". In questo
romanzo affronti temi più o meno importanti, dai classici problemi
adolescenziali, legati alle prime storie d'amore e alla solitudine, fino ai
lutti familiari che creano un vuoto incolmabile in una giovane ragazzina. C'è
un po' di tutto!
Sì, esatto. Volevo creare un romanzo vero in cui tutti più o
meno potessero immedesimarsi almeno in una delle parti del racconto. Ovviamente,
durante la mia adolescenza, ho affrontato anche io alcune difficoltà,poi ho visto molti coetanei affrontare altri problemi
e molti di loro arrendersi o cambiare personalità… Così ecco l'idea, ecco la
storia della protagonista dei passi della vita: una fusione di vite in una
sola!
4) Una frase, nel capitolo 14, recita "non c'è peggior
dolore della morte dell'anima, mentre il corpo continua a vivere".
Un'immagine forte.
Sì, è un mio credo. Tutti pensano che sia sufficiente
respirare per vivere, ma non è così.La
vita è profonda ed è molto più che il semplice respirare. È un insieme di
emozioni, di esperienze. Se uno respira e passa tutto il giorno a far nulla e a
vivere come un automa solo perché deve, equivale ad aspettare la morte, e
quello sicuramente non è vivere.
Il romanzo
5) Domanda forse banale, ma d'obbligo: non sei tu la
protagonista, ma quanto c'è di autobiografico nel libro?
Dunque, mi sono ispirata a me stessa per gli anni del liceo,
i problemi con i professori, il desiderio di popolarità, i dissidi coi
compagni, i sentimenti per gli amici. Poi mi sono ispirata a me stessa negli
anni universitari, anche se io, a differenza della protagonista, li sto ancora
vivendo. Non mi sono ispirata a me, invece, per quanto riguarda lutti, liti e
il tradimento. Anche se poi, dopo aver finito di scrivere il libro, mi son resa
conto di aver vissuto un lutto simile. Ovviamente, sono solo eventi da cui ho
tratto ispirazione e che in nessun caso sono stati descritti fedelmente come
sono realmente accaduti.
6) È stato facile pubblicare?
No, per niente. Ho
pubblicato con “youcanprint” perché purtroppo ho trovato solo editori a
pagamento.
7) A chi consigli il tuo libro? Perché dovrebbe essere
letto?
Consiglio la lettura a chi ama leggere tutti i generi
letterari, a chi ama emozionarsi, sognare, o si interessa di temi sociali. Deve
essere letto e diffuso perché tutti devono capire che i momenti belli, così
come quelli brutti, fanno parte della vita, sono solo delle fasi, dei
"passi" che tutti facciamo, ma non per questo ci dobbiamo abbattere.
C'è chi conosce Memorie di una geisha grazie al film, chi ha approfondito con il romanzo. In entrambi i casi non si è perso nulla. Non perché siano uguali, ma in quanto sono piccole opere d'arte a sé, ognuna in modo diverso.
Il libro
L'autore, Arthur Golden, ha scritto un romanzo avente come protagonista una donna. La storia è in prima persona e fa pensare che dietro a quelle parole ci sia una mente maschile.
Uscito nel 1997, il romanzo racconta il mondo delle geishe che viene definito anche mondo fluttuante: una realtà che fluttua distaccata e parallela dal mondo reale, dove l'uomo può perdersi in mezzo ad arte, bellezza e anche amore. Ma ci sono dei particolari nel libro, come la 'vendita della verginità' di una geisha, che pare sia stata vista come diffamazione del mestiere in sé (per questo, l'autore è stato denunciato per violazione di contratto dalla geisha che l'ha aiutato nella stesura del libro).
Quando Mameha mi assegnò il nuovo nome sentii la piccola Chiyo sparire dietro una maschera bianca con labbra rosse. Ormai ero una maiko, un'apprendista geisha. Da quel momento dissi a me stessa: quando preparo il tè, quando verso il sakè, quando danzo, quando lego il mio obi, sarà per il direttore generale, finché non mi troverà. Finché non sarò sua...
La storia parla della piccola Chiyo che viene venduta dal padre assieme alla sorella. Lei viene comprata da una casa da geishe per la particolarità dei suoi occhi azzurri su viso orientale, mentre la sorella viene acquistata da un bordello.
Dal paesino di pescatori che era Yoroido si ritrova in un mondo di sete e trucchi. Dopo un primo momento di rifiuto, abbandonata dalla sorella Satsu, accetta di lavorare come serva della casa, dato che durante il tentativo di fuga la padrona della okiya, la casa, si è rifiutata di continuare a pagarle l'istruzione da geisha. Ma l'incontro con un industriale di una compagnia elettrica le farà vedere la bellezza di un mondo così affettato, e anni dopo la grande geisha Mameha la richiederà come apprendista personale, per trasformarla in poco tempo nella migliore geisha del quartiere Gion. È una scommessa quella che Mameha fa con la padrona della casa, se Chiyo, in arte Sayuri, ripagherà il debito della sua acquisizione, diventerà l'erede della casa e prenderà il cognome della padrona, mentre se perderà Mameha stessa pagherà quel debito e la sua rivale, la crudele Hatsumomo, vincerà e la sua pupilla Zucca verrà adottata al posto di Sayuri. In tutto ciò, se Hatsumomo vincesse, Sayuri verrebbe sbattuta fuori di casa.
Ma la seconda guerra mondiale sta per cadere sul Giappone. Prima la devastazione, poi gli americani porteranno la fine delle meraviglie del mondo fluttuante, e la giovane Sayuri dovrà trovare il suo posto in questo nuovo mondo...
La Geisha è un'artista del mondo che fluttua: canta, danza, vi intrattiene; tutto quello che volete. Il resto è ombra, il resto è segreto.
Il romanzo si sofferma su tutti i dettagli, il lettore impara insieme a Sayuri attraverso le lezioni descritte minuziosamente, sia le abitudini che i segreti di questa figura misteriosa. Le geishe non sono prostitute, né cortigiane, ma donne che fin da piccole vengono istruite a intrattenere elegantemente chi si trattiene nelle case da tè, attraverso la danza, la musica e un intelligente eloquio. E la bellezza, ovviamente.
Il film
Il film (2005, diretto da Rob Marshall) ha avuto qualche critica per aver scelto delle attrici cinesi tra i personaggi principali. Mentre il libro punta sull'affascinare descrivendo i dettagli, qui le vere protagoniste sono le emozioni. Lo spettatore s'innamora di queste donne ricoperte di seta, piange quando Chiyo viene abbandonata, e tifa per Sayuri che lotta contro le angherie di Hatsumomo per diventare la geisha migliore di Gion.
I colori degli abiti sono meravigliosi, le interpretazioni delle attrici sono impeccabili e vedere la protagonista immergere le dita nel ghiaccio e poi suonare lo shamisen (simile al mandolino), perché la dedizione e le sfide estreme perfezionano l'arte... è coinvolgimento e ammirazione allo stesso tempo.
LIBRO VS FILM
Ricorda Chiyo, noi geishe non siamo cortigiane, e non siamo mogli. Vendiamo la nostra abilità, non il nostro corpo. Creiamo un altro mondo, segreto... un luogo solo di bellezza. La parola geisha significa artista, ed essere geisha vuol dire essere valutata come un'opera d'arte in movimento.
La mia idea è che ci si possa godere il libro senza vedere il film e viceversa senza problemi, ma sono due esperienze diverse, una di formazione e l'altra di immersione emotiva.
Ovviamente ci sono differenze, ma queste si limitano nella possibilità del film di raccontare meglio una parte del libro. Ad esempio il debutto di Sayuri a teatro. Mentre nel libro viene descritta la scena, nel film lei danza in modo tragico ed estremizza il pathos portando a un'estasi visiva.
Questa sfida finisce alla pari, ma se avete amato il cartaceo o l'opera da grande schermo, dedicatevi a entrambe, perché un capolavoro simile dovrebbe essere vissuto a 360°.
Il 14
Ottobre 2015 è uscito nelle sale cinematografiche Suburra, di Stefano Sollima,
già noto al piccolo schermo con “Gomorra – la serie” e “Romanzo criminale – la
serie” e al grande schermo con “ACAB”. La sera stessa ero incollata alla
poltrona del cinema: due ore intense di alta tensione tra corruzione, sesso e
criminalità nella città eterna, Roma. Sullo sfondo, nel corso di tutte le vicende, l'accattivante brano degliM83, "Outro".
Ho avuto il
grandissimo piacere di scambiare quattro chiacchiere conGiacomo Ferrara, mio conterraneo, nel ruolo
di Spadino, un giovane Rom, spavaldo e arrivista, che cerca ingenuamente di
inserirsi in un sistema più grande di lui.
Giacomo Ferrara alla presentazione di "Suburra"
Classe 1990,
originario di Villamagna (Chieti), Giacomo ha sempre avuto una naturale
predisposizione per l’arte: ha cominciato con spettacoli d’intrattenimento
nell’albergo di famiglia “Mammarosa” a PassoLanciano (Ch) e ha proseguito gli
studi liceali incentrati sull’arte dello spettacolo per poi approdare nell’Accademia
“Corrado Pani” a Roma.
Ciao Giacomo o, meglio, Spadino! Raccontaci
di questo personaggio.
Spadino è il
fratello del capoclan di una famiglia di zingari, gli Anacleti. Nel film non si
comprende in pieno il suo ruolo all’interno della malavita. Riesce a risolvere
alcuni problemi e gli capiterà un’occasione per avere un momento di gloria,
cercando di sfruttarlo al meglio delle sue possibilità e facendo anche dei
passi falsi che lo porteranno a subire conseguenze estreme.
Lavorare con Sollima, uno dei più grandi
registi italiani del momento, deve essere stato un vero onore!
"Spadino" sul set con il regista Stefano Sollima
Stefano, dal
punto di vista tecnico, è un grande regista - fa delle inquadrature molto
istintive rispetto a quello che sente al momento-, ma, soprattutto, ha la
grande capacità di saper lavorare benissimo con gli attori. Sa esattamente cosa
vuole e riesce a lavorare sulle sensazioni portando gli attori al
massimo delle proprie capacità. È molto pignolo; già dai provini abbiamo
lavorato sui pensieri del mio personaggio. Mi ha aiutato tanto sul set avere un
regista come lui, essendo questa non la mia prima parte sul grande schermo, ma
la più importante.
Un cast importante in “Suburra”; cosa vuol
dire recitare insieme ad artisti del calibro di Claudio Amendola, Pierfrancesco
Favino ed Elio Germano?
Oltre a essere
grandissimi professionisti sono persone molto tranquille, umili. Ovviamente non
ho approfittato troppo di questo, non cercavo di dargli troppa confidenza sul
set, ma sono stato assolutamente a mio agio. Un bel lavoro di squadra; quando
ci sono dei professionisti così sul luogo di lavoro non senti la loro
“importanza”, ma sei a tuo agio e loro ti aiutano a lavorare al meglio.
Cosa hai provato al primo ciak?
La prima
scenagirata è stata quella con Pierfrancesco
Favino; ero agitatissimo. Con Sollima si fanno tantissimi ciak; vuole sempre il
massimo e anche quando la scena è perfetta, cerca ancora il meglio. Il suo scopo
era che si aspirasse sempre al massimo delle proprie capacità, dando il
tempo necessario. Questo è stato possibile anche grazie alla produzione che lo ha
lasciato lavorare con i tempi da lui richiesti.
Pierfrancesco Favino e Giacomo in una scena del film
Sei andato al cinema? Com’è stato rivederti
sul grande schermo?
L’ho già visto
due volte e probabilmente lo rivedrò ancora! È una grandissima emozione, come
sempre, vedere che il tuo lavoro è apprezzato. Sapere di essere lì, ma non
rendersene conto fino a quando non ti rivedi sullo schermo...È un’emozione
bellissima, soddisfacente.
Non sei nuovo sulla scena: ti abbiamo visto
al cinema con “La prima volta di mia figlia” di Riccardo Rossi e a teatro con “L’ultima
notte” e “Il sogno di una vita”, entrambi di Alessandro Prete.
“La prima
volta di mia figlia” è totalmente diverso da “Suburra”. È una commedia in cui
interpreto Riccardo da giovane, a 19 anni; un personaggio alla prima esperienza
sessuale, secchione e nerd che si ritrova a fare ripetizioni con la più carina
delle scuola e, in un modo o nell’altro, riesce a flirtare con lei. Comunque
reputo l’inizio della mia carriera professionale il primo spettacolo “l’ultima
notte”, del 2013, un testo contemporaneo che parla di orfani che vivono quella
che potrebbe essere la loro ultima notte in orfanotrofio; si tratta di orfani
di borgata che parlano romano, sono coatti, ognuno con le proprie dinamiche e
caratteristiche che trovano risposte alla vita in maniera diversa. È stato successivamente
rimesso in scena in una versione più estesa con “il sogno di una vita”, una
specie di secondo atto in cui gli orfani vivono i loro 30 anni e ritrovano
l’amicizia. Ho interpretato due personaggi diversi, il primo più coatto e
simpatico, mentre nel secondo ero un “poeta maledetto”, sensibile e timido, che
aveva come sfogo la scrittura.
Ti senti più legato al teatro o al cinema?
Sono due
cose indispensabili, secondo me. Il teatro ti fa crescere tanto perché ogni
sera devi riprodurre quella stessa sensazione e devi trovare il modo
di farla arrivare al pubblico e questa cosa ti riempie di stimoli nuovi e ti
incuriosisce; apre molto gli occhi. Il cinema ha sicuramente un fascino particolare,
una magia tutta sua; fin dai cartoni animati che vedi da piccolo sembra un
mondo dei sogni, incantato! Non mi sento di escludere nulla.
Di qualche "leggera" discrepanza tra i libri e i film di Harry Potter, ne abbiamo già accennato nella nostra introduzione alla rubrica "LIBRO VS FILM", qui. Se volessimo parlare di TUTTE le santissime differenze tra i libri e i film del maghetto occhialuto più famoso del mondo, dovremmo farne una rubrica a parte. Ci concentreremo unicamente sulle discrepanze più forti, quelle che impediscono allo spettatore di capire il film senza aver letto il libro*. A parte gli occhi verdi, che è il momento WTF? già discusso, ne analizzeremo due...
Attenzione, ciò che segue può contenere SPOILER.
Incanto Fidelius (Harry Potter e il Prigioniero di Azkban)
Nel terzo libro della saga, Harry Potter e il Prigioniero di Azkaban, il mondo magico è convintissimo che Sirius Black abbia venduto i Potter a Voldemort. Lo stesso Silente ha fornito la prova incontrovertibile su questo punto, come spiegano i professori McGranitt e Vitious.
Quando i Potter vennero a sapere che Voldemort era sulle loro tracce, Silente consigliò loro di nascondersi e di affidare il segreto sul loro nascondiglio ad un Custode Segreto tramite l'Incanto Fidelius. L'Incanto Fidelius è un incantesimo altamente complesso che consiste nel nascondere un segreto dentro una persona di estrema fiducia. Solo il Custode Segreto, e basta, può diffondere il segreto una volta eseguito l'Incanto Fidelius. Prendiamo il nascondiglio dell'Ordine della Fenice sito in Grimmauld Place n° 12: Silente è il Custode Segreto del nascondiglio, e dice agli altri membri dove si trova il Quartier Generale così che loro possono vederlo, ma nessuno dei membri può dire il segreto perché solo Silente può. Infatti, nel 5° libro, non è stato un membro dell'Ordine a dirlo a Harry, ma questi ne è venuto a conoscenza tramite un fogliettino scritto da Silente.
È su questo punto che si basa tutto il libro: Sirius è il Custode Segreto, solo lui può diffonderlo, ammesso che altri ne siano a conoscenza e, se Voldemort ha trovato i Potter, è per forza Sirius la spia.
Ma Sirius, temendo che Lupin facesse il doppio gioco, suggerì ai Potter di scegliere Minus come Custode Segreto. Lui si sarebbe nascosto comunque, ma nessuno sarebbe mai andato a cercare il piccolo e codardo Peter. Nessuno sospettava che Peter era un Mangiamorte. Il cambio di Custode Segreto era stato fatto in gran segreto, secondo un piano che Sirius riteneva geniale per nascondere James e Lily quanto più era possibile.
Nel film, l'Incanto Fidelius non viene neanche nominato. Lo spettatore che non ha letto il libro (almeno quello più attento) non capisce perché tutti i personaggi siano così sicuri sul fatto che Sirius sia la spia. L'espediente dell'Incanto Fidelius, infatti, non serviva solo a incolpare senza via di scampo Sirius, ma anche a sottolineare la vigliaccheria di Peter, capace di tradire la fiducia degli amici più cari.
I ricordi su Voldemort (Harry Potter e il Principe Mezzosangue)
Nel libro Harry Potter e il Principe Mezzosangue, Silente dà ad Harry alcune lezioni. Durante queste "lezioni" gli mostra dei ricordi che appartengono a varie persone, ma che hanno come soggetto la stessa persona: Tom Riddle aka Voldemort. Queste lezioni sono fondamentali perché Harry deve capire con chi ha a che fare, così che possa giocare d'anticipo sulla base delle conoscenze acquisite. Ma, ancor più importante, Harry vede in questi ricordi quelli che poi diventeranno gli Horcrux di Voldemort, contenitori di frammenti della sua anima.
Harry vedrà quindi l'anello dei Peverell e il medaglione di Serpeverde appartenuti ai nonni materni di Voldemort, i Gaunt, e la coppa di Tassorosso, ereditata dalla vecchia e sola Hepzibah Smith. Da questi due ricordi, Harry capirà che Voldemort era alla ricerca degli oggetti appartenuti ai fondatori di Hogwarts, quindi saprà cosa cercare per distruggere Colui-Che-Non-Deve-Essere-Nominato.
Nel film, tutto ciò non è presente. Si vedono a stento due ricordi perché si decise di puntare sulle vicende amorose di vari personaggi. Se questa scelta ha fatto che sì che Harry Potter e il Principe Mezzosangue sia il film più "umano" e introspettivo della saga, ha creato un notevole buco che si è cercato di tappare alla meno peggio nel film successivi.
Conclusione
Come abbiamo già accennato nell'introduzione, libri e film vanno considerati due media differenti adatti a due tipi di pubblico differenti. Un film ha una funzione d'intrattenimento più marcata rispetto ad un libro, perciò chi vuole avere più dettagli è meglio che integri i due media. E, nel caso di Harry Potter, vedere i film senza aver letto i libri è come mangiare pasta senza sugo e senza sale...
*Anche se, a conti fatti, questa è la nuova frontiera del marketing: non far capire un cazzo allo spettatore così va comprare il libro!
Ho sempre
pensato che la musica abbia un effetto terapeutico sulle persone.
Gli amanti
della musica sanno a cosa mi riferisco: sei triste? C’è la canzone giusta per
te che dà il colpo di grazia nella strada verso la depressione interiore o ti
risolleva l’umore. Sei felice? Proprio quella canzone contribuirà a farti
sorridere fino ad avere una paresi facciale/mascellare. Sei malinconico? Un
giro di pianoforte ti farà viaggiare con la mente in posti lontani. Sei su
tutte le furie con il mondo? Quel riff ti scaricherà i nervi.
Insomma, ce
n’è per tutti i gusti, dal pop al rap, dalla lirica al metal.
Essendo
amante in particolar modo dell’universo rock, dal classic rock anni ’70 al
grunge, in questo breve percorso voglio trascinare ogni parte del vostro corpo
tra le canzoni d’amore rock più belle di sempre che hanno fatto sognare le
generazioni passate e continuano a far volare le farfalle nello stomaco.
N.B.La
classifica è assolutamente personale, come le sensazioni provate, d’altronde! Riporto
le prime canzoni che mi sono venute in mente; ce ne sono centinaia, se non migliaia, ma
queste, in qualche modo, hanno una loro ragione d’essere citate.
1) Nothing
else matters – Metallica, 1992
Il mio amore
sconfinato per il frontman James Hetfield nasce proprio da questo brano, quello
che mi ha fatto innamorare della band. La voce calda di James recita una vera e
propria dedica d’amore alla sua prima ragazza, talmente intima che non avrebbe
voluto pubblicarla. Cosa c’è di più bello che riuscire a farsi dedicare una
canzone strappalacrime? Solo il vino, forse.
“Never opened myself this way / Life
is ours, we live it our way / All these words I don't just say / And nothing
else matters”.
2) Wish you were here – Pink Floyd, 1975
In realtà la
dedica di David Gilmour & Co. non è rivolta a una bella donzella, bensì a
Syd Barrett, allontanato dal gruppo per problemi di salute fisico/mentale;
troppa droga, in parole povere.
A mio
avviso, e non solo, il brano può tranquillamente essere convertito in una
proposta di matrimonio, con quel riff!
“How I wish, how I wish you were
here / We're just two lost souls / swimming in a fish bowl”.
3) Nothing can keep me from you –
Kiss
The Kiss
Ritengo che
questo sia uno dei testi romantici più belli in assoluto. È pura poesia quella
che esce dalle labbra di Paul Stanley, da sciogliere anche i cuori più duri. Non credo si debba aggiungere altro.
“No mountain could ever stand
between us / No ocean could ever be that wide / No river too deep to keep your
love from me / I swear it's the truth, nothing can keep me from you”.
4) Don’t forget me - Red Hot Chili
Peppers, 2002
I RHCP sono
stati il mio primo amore e il mio approccio al mondo del rock. Anthony non sarà
un mostro di perfezione nelle performances live, ma chissenefrega, io ho sempre
la pelle d’oca. Se poi al banchetto si aggiunge(va) il buon Frusciante, l’amore
scatta in un attimo.
“I'm the rainbow in your jail cell /
All the memories of / Everything you've ever smelled / Not alone, I'll be there
/ Tell me when you want to go”.
5) Just breath - Pearl Jam, 2009
Eddie Vedder,
con quella voce che si ritrova, riuscirebbe a far innamorare anche i muri. Con
me ci è riuscito, alla grande.
“Did I say that I need you? / Did I
say that I want you? / Oh, if I didn't now I'm a fool you see,.. / No one knows
this more than me”.
6) Romeo and Juliet – Dire Straits,
1980
Frame dal videoclip "Romeo and Juliet" - Dire Straits
I fratelli
Knoplfer propongono una versione in chiave moderna – un amore non corrisposto- della
tragedia shakespeariana che adoro follemente fino alle lacrime! Non si
smentiscono mai…
“Juliet when we made love you used
to cry / Said "I love you like the stars above, / I'll love you till I
die" / there's a place for us you know the movie song/ when you gonna realise it was just that the
time was wrong Juliet?”
7) You saved me – Skunk Anansie,
2010
Chi ti salva
da te stesso vuol dire che ti capisce e merita un pezzetto di cuore. Skin lo sa e non ha saputo dirlo – e cantarlo-
meglio. Pelle d’oca!
“When everyone left me you loved me
and no one else / You came and saved me you saved me from myself”.
8)
Undisclosed desire – Muse, 2009
Più che una
dedica d’amore, questo brano dei Muse ha una carica sensuale non indifferente e
il testo è quasi una supplica di un amore carnale, ma anche spirituale. È il
mio brano preferito della band di Matthew Bellamy.
“I want to reconcile the violence in
your heart / I want to recognise your beauty’s not just a mask / I want to exorcise
the demons from your past / I want to satisfy the undisclosed desires in your
heart”.
9) Poison – Alice Cooper, 1989
Posso dire
con certezza che “Poison”,a mio avviso, sia l’esempio magistrale di erotismo
musicale. Il desiderio di un amore prettamente carnale che però può rivelarsi
pericoloso o, addirittura, mortale. Da togliere il fiato.
“You're poison runnin'thru my veins
/ You're poison, I don't want to break these chains / Your mouth, so hot / Your
web, I'm caught / Your skin, so wet / Black lace on sweat”.
Vincent Damon Furnier, Alice Cooper
10) Still loving you – Scorpions,
1984
Questi tedeschi
così romanticoni non si vedono tutti i giorni. Ci raccontano la storia di un
amore al capolinea in cui gli amanti si rendono conto che potrebbe finire, ma
voglio comunque tentare di salvare il rapporto.
“I'll fight, babe, I'll fight / To
win back your love again / I will be there, I will be there”.
11) Because the night – Patti Smith,
1978
Come non
inserire la Sacerdotessa nella lista delle canzoni d’amore più belle di sempre.
Il brano, originariamente di Bruce Springsteen, fu riadattato per la Smith che
ne fece un capolavoro. Un inno agli amanti che non riescono a nascondere i
propri sentimenti.
“Because the night belongs to lovers
/ Because the night belongs to lust / Because the night belongs to lovers / Because
the night belongs to us”.
12) Too much love will kill you –
The Queen, 1988
Brano
originario di Brian May e interpretato da Freddie Mercury – ma pubblicazione
postuma-, ascoltiamo un monologo di un uomo che si trova nudo di fronte alle
mille domande e preoccupazioni di una vita ormai andata, tra mille rimpianti. Più
che una dedica d’amore, si tratta di una presa di coscienza delle conseguenze
che questo sentimento provoca nell’animo umano.
“Too much love will kill you / Just
as sure as none at all / It'll drain the power that's in you”.
13) Thank you – Led Zeppelin, 1969
Impossibile non
citare una delle mie band preferite. I big di una volta ci sapevano proprio
fare con le parole e con la musica; facile cadere nella rete amorosa di Robert
Plant che ha dedicato questo brano alla moglie.
“If the sun refused to shine, / I
would still be loving you. / When mountains crumble to the sea, / there will
still be you and me”.
Guns N' Roses
14) Don't cry - Guns N' Roses, 1991
Axl Rose viene mollato da una ragazza, lei lo supplica di non starci troppo male, ma lui è innamorato. Ogni tanto capita anche alle rockstar...
“Don't you cry tonight / I still
love you baby / Don't you cry tonight / Don't you cry tonight / There's a
heaven above you baby”.
15) While your lips are still red- Nightwish, 2007
Approfitta ora
che puoi, non lasciarti sfuggire nessuna occasione, bacia, ama, appassionati. Ha
una musicalità talmente romantica da risultare quasi malinconica. Adoro questo
brano in ogni suo suono e in ogni sua parola.
“Love while the night still hides
the withering dawn / First day of love never comes back”.
Ok, più vado
avanti, più saltano in mente decine di altri brani, quindi lascio la lista
aperta e mi metto all’ascolto di questi e mille altri capolavori del mondo
rock!
Corri su Storici&Salottiere per scoprire la rubrica #PilloleMusicali, con curiosità dal mondo del rock e non solo!