domenica 13 dicembre 2015

Editoriale n.15 Monsanto, colosso tossico


Crimini contro l’umanità. È questa l’accusa con la quale la multinazionale verrà processata nel 2016, pur senza valore legale, ma con lo scopo di accertare le violazioni dell’azienda sull’ambiente e sulla salute.

Multinazionale statunitense di biotecnologie agrarie, nasce nel lontano 1901 nell’Illinois, come produttrice di saccarina, dolcificante artificiale. Con la crisi del ’29 comincia a utilizzare i PCB, policlorobifenili, un nuovo composto resistente alle alte temperature, utile all’industria elettrica. Al di là dell’oscura composizione chimica, basta fare qualche ricerca su internet per sapere che questo simpatico PCB è tossico, come la diossina. La Monsanto lo sa, ma non se ne cura: i soldi entrano in grande quantità, perché preoccuparsi?
Negli anni Quaranta produce l’erbicida  245T, talmente tossico da rendere le praterie americane “silenti”, come denunciato nel libro “The silent spring”, la primavera silenziosa. Così tossico  e cancerogeno da essere utilizzato come defoliante dai militari statunitensi impegnati nella guerra del Vietnam, per facilitare gli attacchi ai Vietcong. Chi li ha riforniti di 245T? La Monsanto, chiaramente.
L’industria chimica si evolve nel tempo e la multinazionale è da sempre al passo con le innovazioni: negli anni Ottanta ecco glifosato e Roundup. Quest’ultimo, in particolare, è un potentissimo pesticida a basso costo, niente di meglio per far gola alla Monsanto. I danni, però, non si riversano solo sull’ambiente, ma anche sugli uomini, ma le lobbies a favore dei pesticidi sono talmente potenti che passano in secondo piano.


Piccola nota: il PCB è classificato come uno dei dodici Inquinanti Organici che incidono sulla fertilità animale e umana, mentre il 245T contiene un ingrediente attivo bandito dal 2006 dall’Europa e classificato dall’EPA come possibile cancerogeno umano. Per finire, il Roundup è causa di malformazioni alla nascita, cancro, malattie neonatali e sterilità.

Arriviamo ad anni più recenti: nel 1997 la lungimirante Monsanto divide chimica e fibre sintetiche, biotecnologie e informatica. La geniale pensata è di produrre una particolare tipologia di semente resistente al glifosato e, allo stesso tempo, continuare a vendere il Roundup stesso. Due piccioni con una fava. Si avvia così la produzione di soia, mais e colza transgenici, ovvero modificati in modo da resistere al Roundup. Tutti prodotti in vendita che arrivano facilmente sulle tavole di migliaia di americani e non solo. L’anno successivo viene brevettato un sistema di sterilizzazione delle piante chiamato “Terminator”, così da impedirne la riproduzione, costringendo quindi il consumatore a comprarla nuovamente, anno dopo anno.

Tutto sembra a loro favore, finché la testata inglese “The Ecologist” non fa i nomi delle persone che hanno preso parte alla creazione del brevetto. La Monsanto riesce inizialmente a bloccare la diffusione delle notizie, ma lo scandalo diventa internazionale e viene tradotto in francese e spagnolo, creando caos generale nei confronti del transgenico e bloccando l’acquisto di soia.
Si alza il polverone e la Monsanto è costretta a ritirare gli annunci pubblicitari in cui spaccia il Roundup come biodegradabile e innocuo per l’ambiente. Da brava multinazionale qual è, però, riesce ad avere la meglio e, anzi, riesce a imporsi anche su organizzazioni mondiali quali il WTO (World Trade Organization).

La Monsanto non si ferma e, anzi, lancia sul commercio il Prosilac, un ormone dalla stessa prodotto, utilizzato nel bestiame accelerarne la crescita: le carni arrivano anche in Europa, le cui norme sono contrarie all’utilizzo di sostanze come questa.

Sulla base di tutte queste informazioni (e, sicuramente, tante altre oscure a noi poveri mortali), il Tribunale dell’Aja valuterà, nel 2016, le accuse mosse contro la multinazionale valutando i danni causati alla salute umana e animale e all’ambiente, sulla base dei “Principi guida sui Diritti Umani e Commerciali” adottati dalle Nazioni Unite nel 2011. Inoltre, sulla base dello Statuto di Roma creato nel 2002 dalla Corte Internazionale contro i crimini, verrà valutata anche l’eventuale responsabilità criminale nella società. 


"The Monsanto Years", Neil Young
I presupposti per una condanna ci sono tutti, e sono ampiamente visibili e facilmente recuperabili grazie a documentari, dossier, libri, interviste. In questo contesto si inserisce la battaglia del musicista canadese Neil Young, socialmente attivo da sempre contro le multinazionali come Strabucks e contro i colossi petroliferi canadesi. Nel 2015 esce il suo 36° album in studio dal titolo evocativo “The Monsanto Years”, un concept album di denuncia ad alto contenuto politico, sociale ed ecologico. Inoltre, la sua campagna contro la multinazionale americana è proseguita con la pubblicazione di un mini documentario “Seeding Fear”. Il video, che trovate in basso, diretto da Craig Jackson, racconta di un anziano agricoltore dell’Alabama citato in giudizio dalla Monsanto nel 2003 per aver utilizzato liberamente i semi di soia OGM coperti dal brevetto della multinazionale. Il figlio dell’agricoltore afferma
“È dura accompagnare tuo padre, che ha più di ottant’anni e si muove a fatica e solo con un carrello per la deambulazione, in un tribunale in cui se la deve vedere con una squadra di avvocati che indossano completi da mille dollari e hanno fatto causa per migliaia di dollari a un uomo che ha fatto la guerra combattendo per la libertà di questo Paese”.
La Monsanto ha prontamente risposto sostenendo che l’agricoltore White avesse consapevolmente e illegalmente seminato e rivenduto i semi coperti dal brevetto.

Che sia vero o no, questo non li rende immuni da tutte le accuse mosse contro da gran parte del mondo.
Dubito che si arriverà alla fine della produzione Monsanto, ma già parlarne e denunciare il discutibile operato può far aprire gli occhi. Ognuno fa quel che può; c’è chi lo fa con la musica, chi con le petizioni, chi con la parole.

 

 
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- Sher

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