lunedì 20 aprile 2015

Scrivere non è un mestiere

Scrivere, in Italia, non è un mestiere. È un hobby a tempo perso o, per i più fortunati, una seconda attività, come si può leggere qui o qui. Leggendo questi due articoli si possono trarre alcuni spunti di riflessione.

Soldi

Se si dà un'occhiata alla lista degli scrittori più pagati stilata da Forbes, si è di fronte a cifre stratosferiche. Certo, sono tutti anglofoni, e questo è dovuto principalmente al fatto che i mercati statunitensi e britannici sono quelli più remunerativi (per dirne una, è dalle opere di questi scrittori che viene tratta la maggior parte di film e serie tv di successo). Ma il paragone con l'Italia è impetuoso. 

L'articolo de Il Giornale riporta le parole di Tullio Avoledo, scrittore di un romanzo, L'elenco telefonico di Atlantide, che all'epoca aveva venduto 30-40 mila copie. Avoledo affermò che si sentiva "arricchito ma solo in senso artistico". Certo, non sono le vendite di Riordan (l'ultimo della Forbes) ma, si ponga per assurdo, che per ogni libro venduto l'autore riceva €1, dovrebbe avere in tasca €40.000, sufficienti per pagare molte rate di un mutuo e, forse, una crociera.
Ma i libri, si sa, non si vendono in due giorni. Gli autori, per poter vivere serenamente nel frattempo che le loro opere vengano piazzate sul mercato, solitamente ricevono degli anticipi. Mario Vigevani, a questo proposito, parla di 3 tipi di scrittore:
Rick Riordan,
«Quelli che possono vivere dei proventi dei propri libri sono pochissimi; tre esempi: Moccia, Giorgio Faletti, Luciana Littizzetto. Poi ci sono gli autori di successo, quelli che vendono dalle 25mila alle 100mila copie, che costituiscono il nerbo economico delle case editrici, la loro struttura portante. Sono comunque pochi e spesso devono integrare il proprio reddito con un’altra entrata. Per i restanti, la scrittura è solo uno fra gli altri redditi»
Vigevani parla di autori da 100mila copie che devono comunque avere una seconda attività. Questo vuol dire che non solo non ricevono anticipi decenti, ma neanche dopo le tante copie vendute possono dire di poter vivere di sola scrittura.

Italia: popolo di scrittori

In Italia si legge sempre meno, e a dirlo è L'ISTAT, qui.
È importante questo dato, che si ripercuote sia sullo scrittore che sulla casa editrice. Quest'ultima, infatti, non punta più a lucrare sulla massa di lettori, che sarebbe pure normale, ma sulla massa di scrittori. Come dare loro torto, dopotutto? Se i lettori sono pochi, un editore (che è a tutti gli effetti un'imprenditore) non si prende il rischio di impresa di metterci tutti i soldi perché, visto il bacino d'utenza ridotto, non se la sente di investire appieno in qualcosa che non sia rodato. Quindi che fa? Non solo non paga un anticipo allo scrittore, ma addirittura gli chiede di sostenerlo. O gli chiede proprio un pagamento o lo obbliga a comprare un tot numero di copie. Non verranno riportati esempi per non fare pubblicità a suddette "case editrici".

Simbolo che gli italiani non conoscono
Ma lo scrittore italiano è ancor più umiliato. Esempio?  Non hanno i diritti delle loro opere. Non ci credete? Prendete il libro di un autore statunitense e uno di un autore italiano. Bene. Guardate il colophon, la pagina prima del testo vero e proprio. Ci siete? Bene. Dovrebbe essere scritto, solitamente in basso, "Copyright ©". Vicino, cosa c'è scritto? Esatto. Nel libro straniero, trovate il nome dell'autore. Nel libro italiano, trovate il nome della casa editrice. Buffo no?

Quindi, per un motivo o per un altro, lo scrittore italiano si trova ad essere due volte umiliato perché
- non può svolgere la sua attività a tempo pieno, come la sua controparte anglofona
- non detiene veramente i diritti di ciò che ha scritto

Lo scrittore medio italiano

Ma chi è lo scrittore medio italiano?
Deve essere una persona che ha abbastanza tempo da dedicare alla scrittura. Chi vi scrive, partendo da un dato del tutto opinabile ma, si crede, abbastanza sensato, pensa che la persona che meglio possa permettersi il lusso di scrivere, in Italia, sia la casalinga senza figli o con figli ormai adulti. Basta andare su Amazon per trarne la conclusione.

Amazon ha ridato vita al mercato editoriale. Pure troppa.

Amazon ha aperto un mercato in somma crisi, dando visibilità a chi non ne aveva, favorendo gli autoprodotti e le case editrici on-line. Ma è proprio il colosso con sede a Lussemburgo l'artefice di un nuovo problema: la saturazione del mercato. Ipoteticamente, chiunque può pubblicarci qualsiasi cosa.
A parte la sezione Letteratura e Narrativa che, il 18 aprile 2015 conta più di 39mila titoli e che racchiude un po' tutto, e Società e scienze sociali, si può notare come le categorie che racchiudono più titoli sono Romanzi rosa (9.984) e Libri per bambini e ragazzi (7.182). La macrocategoria che racchiude Fantascienza, Horror e Fantasy solo 7.266 mentre Gialli e Thriller 7.866. Si è fatto anche un confronto con la controparte anglofona del Kindle Store Amazon, dove il Romance ha circa 260mila titoli, ma le prime tre posizioni sono occupate da Foreign Languages con quasi 605mila titoli, Literature&Fiction con oltre un milione di titoli e Nonfiction con circa 1,7 milioni di titoli.
Senza voler fare di un'erba un fascio, si può pensare che i libri rosa e per bambini vengono scritti più frequentemente da donne. In Italia, così, in un mercato dove lo scrittore non è retribuito bene, la casalinga con una certa agiatezza, sia economica che in termini di tempo, può dedicarsi al suo romanzo.

Il consiglio che Storici&Salottiere può dare è non affidarsi a case editrici che chiedono soldi per pubblicare. Cercate quelle che puntano su di voi. Se proprio dovete vendere poco, almeno fatelo con qualcuno che vi valorizzi.

- Ruel 

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