L'accento
su una certa realtà adolescenziale, tra il già visto e il nuovo. Fish Tank
(regia di Andrea Arnold, 2009) narra le vicende di Mia, una quindicenne che si fa
strada tra le difficoltà di una periferia inglese estremamente ghettizzata;
cresciuta senza padre, sogna di cambiare la sua vita attraverso il mondo della
danza, ma saranno una catena di relazioni ed imprevisti a sancire il suo
processo di maturazione.
Un film che identifica in alcune esperienze cruciali
dei totemici "rituali di passaggio"; liti violente con alcune
coetanee, la contesa dello stesso fidanzato della madre, la fatica nel farsi
strada in un contesto avverso in un clima di reclusione. Molto è già visto,
alcune forme sono ridondanti, ma l'accento si pone sul sentimento, sulla sua
confusione ed il modo in cui un'adolescente affronta il caos di un mondo
adulto. Facile analogia, Mia si affeziona ad una cavalla imprigionata e cerca sempre
di liberarla, sino a scoprirla morta per anzianità e cagionevolezza; così è il
dispiegarsi della trama che ci porta a desiderare, assieme alla protagonista,
la fuga da quel mondo. Questo grigio teatro non manca però di relazionarsi: tra
l'egoismo, l'ira e la facilità con cui si possono perdere gli amici che viene
mostrata sin dalle prime sequenze, vi è il totale rigetto della solitudine, a
favore del bisogno di trovare qualcuno, di incontrarsi e scontrarsi pur di
ristabilire un contatto con il reale.
La parabola di questa ricerca, scandita
da riti di maturazione, troverà suo culmine in una toccante (e quando lo dico,
lo dico sul serio) scena finale in cui tutto il sentimento confuso ed
annebbiato, accumulato sino a quel momento, trova apoteosi in un ossimoro,
scandito da un chiarissimo "Ti odio" che trova sua unica lettura in
un "Ti voglio bene." A mio avviso, è in questa medaglia a due facce
l'abissale e sottilissimo confine che dona origine e volto al modo di sentire
di un adolescente.
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- Alison
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