Sarò sincera, da qualche mese in bozze ci sono tre articoli che penso non pubblicherò mai.
Il motivo? Non credo che abbiano rilevanza per qualcuno. O almeno, non hanno rilevanza per me.
I temi sono: musica e libri, aggiornamento sui social ed Escape Room. Forse l'ultimo argomento può essere anche un minimo interessante, ma no, non sono convinta.
Dopo questo sproloquio, ecco cosa sono venuta a fare su questo blog.
A condividere una poesia.
In questa mattinata nebbiosa, in cui i corvi si librano nel grigio e l'umido s'infila sotto i vestiti, ho voglia di leggere e condividere una poesia di Edgar Allan Poe.
Perché sì. E questo è un motivo più che sufficiente per pubblicare queste parole in croce.
Perché sì.
ISRAFEL
In Cielo dimora uno spirito “le cui corde del cuore sono un liuto”. Nessuno canta in modo così selvaggio e dolce come l’angelo Israfel, e gli astri vorticanti (così dicono le leggende) interrompendo i loro inni, muti, ascoltano l’incanto della sua voce.
Tremolando lassù nel suo alto culmine, la luna innamorata arrossisce d’amore, mentre, per ascoltare, il rosso lampo s’arresta in Cielo (con anche le rapide Pleiadi, che sono sette).
E proclamano (il coro delle stelle e le altre entità in ascolto) che il fuoco di Israfel si espande da quella lira presso la quale seduto canta, dai fili vivi e frementi di quelle corde inusitate.
Calcò quell'angelo i sereni cieli, dove spontanei sorgono i pensieri profondi, dove non è mai Amore un dio capriccioso, dove i teneri occhi delle Urì di tutto il fulgore s'imbevono che noi adoriamo in una stella.
Per questo, tu certo non erri, o Israfel, che disprezzi un canto che non abbia un'anima; a te tocca la gloria del lauro, a te, il miglior bardo e il più saggio!
Ai tuoi ardenti ritmi accorda il cielo le sue estasi - pena, allegrezza, odio, amore, al fervore del tuo liuto: oh, ben possono star mute le stelle!
Il cielo è tuo; ed è il nostro, invece, un mondo dolce-amaro; i fiori, quaggiù, non sono che fiori, e l'ombra della tua beata sorte è il nostro più splendente meriggio.
Potessi io dimorare dove Israfel ha dimorato, e fosse egli qui dov'io sono, più non potrebbe, certo, così cantare, selvaggio e dolce, una sua terrena melodia: mentre un più alto canto che non sia questo, dalla mia lira si leverebbe in cielo.
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