lunedì 30 novembre 2015

Cos'è la barba per un uomo? Risponde Giulia Pivetta autrice di Barber Couture

Barber Couture è un libro che racconta la moda della barba in modo storico-sociale. Noi di Storici&Salottiere, chiedendoci cos'è una barba per un uomo, siamo andati a intervistare Giulia Pivetta, l'autrice.

Come è nata l'idea di Barber Couture


I fenomeni sociali legati allo stile sono stati il mio campo d'indagine sin dall'università, e grazie a miei precedenti lavori sulle tribù di stile degli anni Sessanta, sono stata contattata per curare Barber Couture. Da parte della casa editrice c'era l'interesse a sviluppare un progetto sul mondo del barbiere, io ho proposto la mia visione dell'argomento, un taglio narrativo storico sociale, e a loro è piaciuta.

Il tuo lavoro si basa su una visione dello stile come specchio dei tempi. In questo senso, cosa dicono barbe e capelli sull'evoluzione del maschio occidentale dell'ultimo secolo?

Lo stile è sempre lo specchio dei tempi, e la moda – lo stile - , in quanto fenomeno sociale, non è solo parte integrante del mondo in cui viviamo, ma è uno dei segnalatori più forti attraverso cui leggere i cambiamenti che avvengono in esso. Nel secolo passato,  gli uomini , a differenza delle donne, sono rimasti molto legati alla tradizione. Consuetudini,  regole e certezze, rotte solo dalle subculture da strada e dai loro stili autentici – nati come espressioni di un sentire comune -  che hanno fornito nuovi input al mondo maschile. La moda, intesa come tendenze stagionali imposte e cambiamenti repentini, è sempre stata prerogativa femminile. Non è a caso che, uno dei fenomeno di maggiore durata e estensione, come quello del Barbiere, affondi le sue radici nella tradizione.

Il libro dà una spiegazione al grande revival dell'uomo barbuto degli anni Duemiladieci? Secondo te, quale versione diventerà iconica di questi tempi: l'hipster col baffo austroungarico o la declinazione più selvaggia, che abbina barba incolta e chignon arruffato?

Quando si parla di uomini, la barba e i capelli sono un simbolo di virilità chiaro. La spiegazione per il grande ritorno al luogo mitico del barbiere, spazio in cui la donna da sempre è esclusa,  è che gli uomini, soprattutto quelle generazioni cresciute dagli anni Settanta in poi, sono alla disperata ricerca di un'idea solida e concreta di mascolinità.
In entrambe le versioni, sia incolta -  associata ad uno stile folk e camicie di flanella a scacchi sul modello di chi sa tener testa ad una natura selvaggia - che la variante estremamente curata - che sfida la forza di gravità, status symbol di benessere e potere economico -  raccontano un attaccamento al feticcio, all'oggetto mitizzato e da cui la vita è stata rimossa, e di cui rimane solo la rappresentazione. Un approccio sterilizzato, alla Wes Anderson, tipico dei giorni nostri, che contraddistingue il modo contemporaneo di concepire qualsiasi manifestazione estetica.

Colgo l'occasione per farti una domanda che mi frulla spesso per la testa. Secondo te, cosa c'è dietro questo ritorno all'estetica degli anni Cinquanta? 

Gli anni Cinquanta sono uno dei trend di maggiore portata, sia in termini temporali che di pervasività nella società. È uno di quei loop da cui non riusciamo a uscire, come lo stile militare, o come quello ancora più longevo e radicato della giovinezza, e che ci accompagnerà ancora per molto tempo. Sono stati senza dubbio un periodo di prosperità, benessere, positività e grande speranza. La conquista dello spazio, il design, il consumismo, sembravano promettere che il futuro sarebbe stato il migliore dei mondi possibili.
Oggi abbiamo quello stesso desiderio di lasciarci un periodo negativo alle spalle. È  dunque a quell'idea di avvenire che noi torniamo, ne abbiamo nostalgia, e lo manifestiamo riprendendo l'estetica che ha caratterizzato quegli anni. Proporzioni, colori, forme che ci riportano ad un passato ideale, o meglio, che abbiamo idealizzato.



Parlando di cose più tecniche, come avete lavorato tu e Matteo Guarnaccia? Da dove siete partiti con le vostre ricerche e dove siete poi andati a caccia di materiale?

Io e Matteo abbiamo una tecnica ormai collaudata che abbiamo avuto modo di affinare nel corso degli anni, lavorando assieme ad altri progetti scritti/illustrati o di ricerca e illustrazione, sempre in ambito moda, e personalità ad essa legate. Per esempio abbiamo recentemente pubblicato Bob Dylan Play Book, un libro gioco che ripercorre le tappe stilistiche più significative della carriera del cantante.
Partiamo sempre da un'idea comune su cui ci confrontiamo e ci allineiamo. Anche se abbiamo esperienze di vita molto diverse, condividiamo una visione delle cose molto simile, che senza dubbio è ciò che continua a permetterci di lavorare a "4 mani".
La prima fase di ricerca è individuale, poi, una volta che ho deciso cosa inserire nel testo,  partiamo con la realizzazione delle illustrazioni. Sottopongo a Matteo diversi input a cui far riferimento, frutto di peregrinazioni tra libri o filmati, che lui a sua a volta integra. Internet è uno strumento fondamentale oggi, se gestito con testa, sia per recuperare materiale che per individuarlo presso fonti esterne.
Ciò che ci da sempre maggiore soddisfazione però sono le riviste d'epoca, che spesso si trovano nelle biblioteche o ai mercatini dell'usato. Il grande vantaggio delle illustrazioni rispetto alla fotografia è quello di poter sintetizzare in un'unica tavola, tutto ciò che di più rilevante c'è di un determinato argomento.

Qual è stata la scoperta più interessante che hai fatto lavorando a Barber Couture?

Ciò che oggi  ai più giovani sfugge, è cosa significava la sala da barba in passato per gli uomini. Nella cultura occidentale, ma non solo, e soprattutto per noi italiani, che abbiamo una tradizione di barbieri conosciuta in tutto il mondo, la sala da barba aveva una funzione sociale, era un luogo esclusivo, in cui gli uomini si riunivano e si sentivano protetti. Il barbiere era una figura centrale della comunità. Una persona di riferimento in grado di dispensare consigli ed indicazioni, colui che poteva maneggiare delle lame, considerato anche una sorta di medico, o di sciamano.
Provenendo da un mondo in cui i saloni per parrucchieri sono unisex, e i centri estetici femminili hanno aperto le porte anche agli uomini, immaginarmi un luogo di apartheid di genere mi dà il senso di quanto ancora ancora oggi sia importante che la distinzione tra i sessi rimanga definita, perché contraddistinti da specificità precise.

Se dovessi pensare ad un lavoro analogo orientato sullo stile femminile, ti occuperesti sempre di parrucco o sceglieresti altri dettagli di moda per descrivere la trasformazione della donna nel XX secolo?

La domanda cade a proposito, sto preparando la versione femminile di Barber, si chiamerà Ladies Haircults e uscirà nella primavera dell'anno prossimo per lo stesso editore, 24Ore Cultura. La squadra dunque è la stessa,  i disegni saranno sempre di Matteo e anche in questo caso, capelli saranno appaiati all'abbigliamento e ad elementi del mondo culturale delle protagoniste. Se per gli  uomini i capelli sono un simbolo di virilità, per le donne i capelli sono uno dei luogo in cui si è combattuta l'emancipazione – stilistica e non solo - femminile. Questo sarà la prospettiva attraverso cui verranno raccontati gli anni tra il 1940 e il 1980, con un antefatto che include andrà ad includere anche il primo trentennio del Novecento. Dal piccolo tirabaci fino alle teste voluminose del power suit!

Grazie dell'intervista!
- Chiara Franchi

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