domenica 2 agosto 2015

Editoriale n°9: Maria Nadotti e la contestualizzazione di Irène Nèmirovsky

Perché le persone parlano di ciò che non conoscono? Me lo sono domandato così tante volte negli ultimi giorni, che ho deciso di farci un articolo. La prima volta me lo sono domandato quando Vincenzo Salemme ha parlato dell'inutilità della ricerca scientifica qui. E oggi quando ho preso in mano un libro, esattamente Suite Francese di Irène Némirovsky.

Suite francese esce nel 2008 ed è oggi considerato il capolavoro di Irène Némirovsky, nativa di Kiev ma scappata in Francia dopo lo scoppio della Rivoluzione in Russia del 1917. Il libro, incompiuto, è stato pubblicato grazie al lavoro delle figlie dell'autrice, morta ad Auschwitz nel 1942. I diritti italiani sono stati comprati da Newton Compton, che ne ha fatto varie edizioni. Tempo fa comprai l'edizione Grandi Tascabili Economici, edita nel 2013 e con introduzione di Maria Nadotti (presente anche nella nuova edizione, che ha di diverso solo la copertina, la quale riprende una scena del film recentemente uscito). Solo oggi sono riuscito a leggerlo. Poiché non ho mai letto nulla della Némirovsky, ho deciso di leggere anche l'introduzione, almeno per capire i temi più comuni della scrittrice che mi apprestavo ad affrontare. La Nadotti, vera protagonista di questo articolo, introduce in modo magistrale alla vita e alla produzione della Némirovsky, nel complicato rapporto che aveva con il padre, nell'antipatia (ricambiata) che l'autrice nutre nei confronti della madre, nel suo pessimismo di fondo e nel suo rapporto con l'ebraismo. E su questo ultimo punto che ci vogliamo soffermare.
Copertina dell'edizione 2013

La Némirovsky, infatti, non coglie occasione in più opere di denigrare la figura dell'ebreo, considerato un mero arraffatore di denaro e preoccupato solo e unicamente dell'oro. Li rappresenta spesso brutti e rapaci, non di rado sporchi. La Nadotti ha deciso di dire la sua su questo argomento e il passo che ha destato la mia attenzione, a pagina 16, è questo:

"[…] queste pagine paiono oggi un'intollerabile, temeraria espressione di «antisemitismo» (così lo si definirebbe se a praticarlo fosse un non-ebreo) o di «odio di sé» (così, invece, lo si chiamerebbe se a manifestarlo fosse un ebreo). Ai nostri giorni nessuno oserebbe, se non per aberranti ragioni politiche, scrivere frasi di questo tipo. Tuttavia sarebbe fuorviante e del tutto scorretto accusare Némirovsky di avere prestato la propria penna alle ragioni del nazismo e attribuirle una sorta di miopia storica. Prima, quando l'inimmaginabile era inimmaginabile, era perfettamente legittimo che un artista dicesse la sua pur scomoda verità. Ecco perché è importante, oggi, contestualizzare l'opera di Némirovsky e non sottoporla col senno di poi a una sorta di ideologico revisionismo critico."
Per la Nadotti, quindi, Némirovsky sta esprimendo solo la sua opinione. Cosa anche abbastanza vera, visto che negli anni tra le due guerre il razzismo era alle stelle. Non solo verso gli ebrei e non solo in Germania. I cartelli dove si vietava agli italiani di entrare nei parchi erano in Svizzera, solo per citare un esempio.  La Nadotti, e qui arriviamo al vero punto della questione, afferma anche di contestualizzare l'opera perché non si dica che l'autrice abbia "prestato la propria penna alle ragioni del nazismo"
Allora, contestualizziamo. Che un ebreo scriva e parli male di altri ebrei, non è una novità, soprattutto per persone che vengono dall'ex-impero zarista. È uno dei tanti meccanismi di difesa che gli ebrei assumono, soprattutto dopo i pogrom del 1881, del 1905 e del 1917-18. Che la Némirovsky (ex-suddita dello zar, nata in una città con una grande comunità ebraica, e trapiantata in Francia) sia pervasa da un forte «odio di sé», non deve essere motivo né di sgomento né di meraviglia. Anzi, a cavallo tra il XIX e il XX secolo alcuni degli articoli più antisemiti erano scritti proprio da ebrei che avevano ripudiato le loro origini.

Irène Némirovsky

Ma la Némirovsky non era una stupida. Era nata e cresciuta nell'antisemitismo, era scappata in Francia perché sapeva, come tutti gli ebrei, che nei vecchi domini russi ogni crisi di rilievo era seguita da cruenti pogromy. Poi nel '34 divenne padrone assoluto della Germania Hitler, che aveva fatto dell'antisemitismo il suo cavallo di battaglia. Il razzismo in tutte le sue forme era il perno del Partito Nazionalsocialista, che cresce nell'odio verso chiunque non sia tedesco e per chiunque non voglia combattere per la patria germanica. Gli ebrei sono i bersagli privilegiati di questa nuova politica e non possiamo dire che la Némirovky non lo sapeva. Certo, non poteva sapere cosa sarebbe successo a lei ed altri milioni di ebrei ed è certo che lei ed Hitler non fossero molto intimi, però poteva almeno vagamente immaginare le violenze di cui sarebbero stati vittime gli ebrei sotto il dominio nazista (come effettivamente successe tra il 9 e il 10 novembre del 1938, evento noto come "Notte dei cristalli"), visto che le aveva provate in primissima persona. Quindi la Nadotti sbaglia. La Némirovksy, volente o nolente, coscientemente o meno, ha proprio "prestato la propria penna alle ragioni del nazismo". È bene che la Nadotti segua il suo stesso consiglio: contestualizziamo l'opera. Senza che "contestualizzare" voglia per forze di cose significare "demonizzare" la Némirovsky.

- Ruel

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