venerdì 27 maggio 2016

Editoriale n°19: “Cultura dello stupro”, ossimoro o realtà?



È di venerdì scorso la notizia giunta da Morro São João, a ovest di Rio, Brasile, di uno stupro di gruppo avvenuto a danno di una ragazzina di 16 anni. Fonti locali parlano di circa trenta uomini ricercati dalla polizia. Trenta, contro una. Su Twitter, uno dei carnefici ha pubblicato il video dell’atto violento che ha immediatamente ottenuto centinaia di visualizzazioni, mostrando la ragazza nuda e, apparentemente, drogata e quasi priva di sensi.
Immagine contro lo stupro
Scoppia un caso mediatico, la rete si rivolta, nasce una vera e propria campagna involontaria di solidarietà nei confronti della vittima. L’hashtag #Estupro, stupro, rimbalza sulle bacheche di centinaia di utenti e, molti, si affrettano a modificare l’immagine del profilo con l’eloquente rappresentazione di una donna semi nuda, crocifissa, con il volto rivolto verso il basso, con le parti intime insanguinate, simbolo della violenza subìta. Un’immagine troppo forte per i più sensibili, ma, senza dubbio, drammaticamente evocativa.

Non tarda ad arrivare la solidarietà della Presidente brasiliana Dilma Roussef nei confronti della vittima e della famiglia, condannando pubblicamente l’atto e la divulgazione del video come “barbarie” e rimarcando l’impegno a combattere, denunciare e punire i responsabili di simili violenze. L’ordine degli avvocati brasiliani (OAB) si affianca alle parole della Roussef, sottolineando la presenza di una cultura ancora fortemente maschilista e sessista che, spesso, porta le stesse vittime a ritenersi colpevoli.
Tra le dichiarazioni di solidarietà per la vittima, c’è chi si propone di lottare per la fine della “cultura dello stupro”. Un’espressione che, a mio avviso, fa riflettere. Cultura è altro; cultura è comunanza di usi e costumi, cultura è l’insieme di ciò che rende un popolo tale, ciò che lo identifica e in cui ci si identifica. Siamo davvero arrivati al punto di considerare una violenza sessuale elemento integrante, e degradante, della società odierna? Includere lo stupro nella cultura e, quindi, nei valori identificativi di una popolazione è illegale; un ossimoro alla pari di espressioni quali “guerra umanitaria”. Una guerra è una guerra, uno stupro è uno stupro: non esistono né umanità né cultura.

In questi stessi giorni, dall’altra parte del mondo, giunge una notizia a seguito dell’uccisione di una ragazza dopo uno stupro di gruppo: l’Indonesia ha introdotto una norma, varata con decreto d’urgenza, che introduce la castrazione chimica e la pena di morte, inasprendo le pene per chi commette atti su minori. La decisione è stata accolta con ampio consenso da parte della popolazione indonesiana, pur suscitando la reazione degli attivisti per i diritti umani, ritenendo che la violenza non sarà fermata da pene estreme e, inoltre, la legge sulla castrazione chimica è la conferma che il governo non considera ancora le aggressioni sessuali come atto di violenza, ma solo come una questione legata al controllo degli impulsi sessuali, come afferma Mariana Aminudi della Commissione nazionale sulla violenza contro le donne.
Protesta in Indonesia contro le violenze sessuali
Un fatto è certo: prendere seri provvedimenti legali è un obbligo morale che tutti i governi mondiali dovrebbero assumere. Lasciare impunito il crimine dello stupro significa legittimarlo, significa rendere vera l’espressione “cultura dello stupro”, significa far passare le vittime per colpevoli. D’altra parte, diversi rapporti di Amnesty International mettono in luce come la condanna a morte non produca effetti deterrenti; questo vuol dire che la presenza della pena capitale non riduce gli atti criminali e criminosi, quali omicidi, stupri, corruzione. La giustizia può agire in molti modi e la pena capitale non è l’unica strada percorribile, anzi, probabilmente è la meno indicata. Non dimentichiamo tutti i casi di inflizione di condanne a morte, per i reati più svariati, nei confronti di persone risultate innocenti. Sono pochi, ma i casi di denuncia di violenza sessuale non veritiera ci sono stati. Chi siamo, inoltre, noi, per giudicare della vita e della morte di qualcuno? Come possiamo uccidere un essere umano? Se la Storia, grande maestra, ha insegnato qualcosa, il problema non si dovrebbe neanche porre, ma questa è un’altra storia.

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- Sher

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