Giornalista, tra le altre cose, de Il Fatto Quotidiano, lo
seguo da tempo con interesse e non mi sono lasciata scappare l’occasione per
assistere all’evento, lo scorso 2 Dicembre. Il libro non l’ho letto, speravo
riuscisse a convincermi lui stesso. E così è stato.
Il romanzo racconta
l’intreccio delle storie del quarantenne Stevie, giornalista di provincia
incapace di ribellarsi a un direttore dispotico; di nonno Sandro, ex partigiano
e proprietario di una società che produce videogiochi; e del giovane Rayban,
giornalista in attesa della chiamata alle armi.
Un
incontro/scontro tra tre diverse generazioni e la constatazione dell’affinità
intellettuale tra il ventenne e il novantenne, partigiani in secoli diversi.
Finalmente
pronto per scrivere un romanzo, Scanzi ha coronato il suo sogno raccontando una
storia in chiave satirica, ma con acuto ingegno, portando il lettore alla
riflessione sulla società attuale.
Come afferma
lui stesso, infatti, oggi ci troviamo in una situazione talmente paradossale da
superare il paradosso stesso; quella stessa realtà in cui, troppo spesso, si accetta
sistematicamente tutto ciò che accade, senza farsi domande, senza dire la
propria opinione, senza pensare che forse non è tutto vero ciò che passa in
televisione.
Andrea Scanzi a CormònsLibri |
Da qui una splendida riflessione sul giornalismo, sollecitata dalle domande di Mario Brandolin, giornalista de “Il Messaggero Veneto”. In particolare, Scanzi racconta della difficoltà di rispondere al ventenne che chiede come muoversi per avviarsi al giornalismo. Fino a cinque, dieci anni fa con tanta bravura e un po’ di fortuna era relativamente facile riuscire a conquistare il proprio spazio su un quotidiano. Oggi, nonostante la rivoluzione informatica e l’approdo dei social network, è estremamente difficile emergere tra la moltitudine, essendo, inoltre, lo spazio disponibile davvero limitato.
Inoltre, il
giornalista che riesce a farsi conoscere ha sicuramente una grande fortuna, ma,
soprattutto, una grande responsabilità: deve avere il coraggio di esporsi e
dire cosa ne pensa relativamente a un fatto di cronaca, politica, economia,
sport. Quando il giornalista ritiene che un fatto debba essere commentato, deve
farlo e deve avere come obiettivo quello di suscitare una reazione nel lettore,
positiva o negativa, anche a costo di risultare sconveniente.
In conclusione,
alla domanda “c’è speranza?”, Scanzi si ritiene scettico relativamente alla
politica, a un nuovo senso di giustizia. Tuttavia, scomoda a dovere il maestro
Gaber quando in “qualcuno era comunista” si esortava ad essere come i gabbiani,
a provare a volare e spiccare il volo, mossi dallo slancio e dal desiderio di
cambiare le cose. Perché, nonostante tutto, come ricorda Scanzi, l’Italia è
piena di gente che lotta e ci prova, perché l’Italia è molto più bella di
quello che ci fanno vedere i telegiornali, perché se non tentiamo noi di
migliorare le cose, chi altro dovrebbe farlo?
Personalmente
mi sento di ringraziare Andrea per le sue parole, inizialmente scoraggianti, ma
cariche di una spinta verso il cambiamento. Il giornalismo è una cosa seria, i
giornalisti seri, invece, una cosa rara.
- Sher
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