domenica 18 ottobre 2015

SUBURRA: incontro ravvicinato con Spadino



Il 14 Ottobre 2015 è uscito nelle sale cinematografiche Suburra, di Stefano Sollima, già noto al piccolo schermo con “Gomorra – la serie” e “Romanzo criminale – la serie” e al grande schermo con “ACAB”. La sera stessa ero incollata alla poltrona del cinema: due ore intense di alta tensione tra corruzione, sesso e criminalità nella città eterna, Roma. Sullo sfondo, nel corso di tutte le vicende, l'accattivante brano degli M83, "Outro".
Ho avuto il grandissimo piacere di scambiare quattro chiacchiere con Giacomo Ferrara, mio conterraneo, nel ruolo di Spadino, un giovane Rom, spavaldo e arrivista, che cerca ingenuamente di inserirsi in un sistema più grande di lui.

Giacomo Ferrara alla presentazione di "Suburra"

Classe 1990, originario di Villamagna (Chieti), Giacomo ha sempre avuto una naturale predisposizione per l’arte: ha cominciato con spettacoli d’intrattenimento nell’albergo di famiglia “Mammarosa” a PassoLanciano (Ch) e ha proseguito gli studi liceali incentrati sull’arte dello spettacolo per poi approdare nell’Accademia “Corrado Pani” a Roma.

Ciao Giacomo o, meglio, Spadino! Raccontaci di questo personaggio.

Spadino è il fratello del capoclan di una famiglia di zingari, gli Anacleti. Nel film non si comprende in pieno il suo ruolo all’interno della malavita. Riesce a risolvere alcuni problemi e gli capiterà un’occasione per avere un momento di gloria, cercando di sfruttarlo al meglio delle sue possibilità e facendo anche dei passi falsi che lo porteranno a subire conseguenze estreme.

Lavorare con Sollima, uno dei più grandi registi italiani del momento, deve essere stato un vero onore!

"Spadino" sul set con il regista Stefano Sollima
Stefano, dal punto di vista tecnico, è un grande regista - fa delle inquadrature molto istintive rispetto a quello che sente al momento-, ma, soprattutto, ha la grande capacità di saper lavorare benissimo con gli attori. Sa esattamente cosa vuole e riesce a lavorare sulle sensazioni portando gli attori al massimo delle proprie capacità. È molto pignolo; già dai provini abbiamo lavorato sui pensieri del mio personaggio. Mi ha aiutato tanto sul set avere un regista come lui, essendo questa non la mia prima parte sul grande schermo, ma la più importante.


Un cast importante in “Suburra”; cosa vuol dire recitare insieme ad artisti del calibro di Claudio Amendola, Pierfrancesco Favino ed Elio Germano?

Oltre a essere grandissimi professionisti sono persone molto tranquille, umili. Ovviamente non ho approfittato troppo di questo, non cercavo di dargli troppa confidenza sul set, ma sono stato assolutamente a mio agio. Un bel lavoro di squadra; quando ci sono dei professionisti così sul luogo di lavoro non senti la loro “importanza”, ma sei a tuo agio e loro ti aiutano a lavorare al meglio.


Cosa hai provato al primo ciak?

La prima scena  girata è stata quella con Pierfrancesco Favino; ero agitatissimo. Con Sollima si fanno tantissimi ciak; vuole sempre il massimo e anche quando la scena è perfetta, cerca ancora il meglio. Il suo scopo era che si aspirasse sempre al massimo delle proprie capacità, dando il tempo necessario. Questo è stato possibile anche grazie alla produzione che lo ha lasciato lavorare con i tempi da lui richiesti.

Pierfrancesco Favino e Giacomo in una scena del film

Sei andato al cinema? Com’è stato rivederti sul grande schermo?

L’ho già visto due volte e probabilmente lo rivedrò ancora! È una grandissima emozione, come sempre, vedere che il tuo lavoro è apprezzato. Sapere di essere lì, ma non rendersene conto fino a quando non ti rivedi sullo schermo...È un’emozione bellissima, soddisfacente.
 
Non sei nuovo sulla scena: ti abbiamo visto al cinema con “La prima volta di mia figlia” di Riccardo Rossi e a teatro con “L’ultima notte” e “Il sogno di una vita”, entrambi di Alessandro Prete.
 
“La prima volta di mia figlia” è totalmente diverso da “Suburra”. È una commedia in cui interpreto Riccardo da giovane, a 19 anni; un personaggio alla prima esperienza sessuale, secchione e nerd che si ritrova a fare ripetizioni con la più carina delle scuola e, in un modo o nell’altro, riesce a flirtare con lei. Comunque reputo l’inizio della mia carriera professionale il primo spettacolo “l’ultima notte”, del 2013, un testo contemporaneo che parla di orfani che vivono quella che potrebbe essere la loro ultima notte in orfanotrofio; si tratta di orfani di borgata che parlano romano, sono coatti, ognuno con le proprie dinamiche e caratteristiche che trovano risposte alla vita in maniera diversa. È stato successivamente rimesso in scena in una versione più estesa con “il sogno di una vita”, una specie di secondo atto in cui gli orfani vivono i loro 30 anni e ritrovano l’amicizia. Ho interpretato due personaggi diversi, il primo più coatto e simpatico, mentre nel secondo ero un “poeta maledetto”, sensibile e timido, che aveva come sfogo la scrittura.

Ti senti più legato al teatro o al cinema?

Sono due cose indispensabili, secondo me. Il teatro ti fa crescere tanto perché ogni sera devi riprodurre quella stessa sensazione e devi trovare il modo di farla arrivare al pubblico e questa cosa ti riempie di stimoli nuovi e ti incuriosisce; apre molto gli occhi. Il cinema ha sicuramente un fascino particolare, una magia tutta sua; fin dai cartoni animati che vedi da piccolo sembra un mondo dei sogni, incantato! Non mi sento di escludere nulla.

Grazie Giacomo!

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Sher

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