Birmania,
1945. Aung San Suu Kyi viene alla luce, figlia del generale Aung San, leader
della frangia nazionalista del partito comunista della Birmania e Khin Kyi.
Si è sempre
interessata della vita politica del suo Paese, probabilmente grazie al padre
che era molto attivo. Soprattutto, dopo la sua morte segue la madre, divenuta
ambasciatrice in India e figura importante sulla scena politica birmana, in
tutti i suoi spostamenti e in tutte le sue operazioni.
La piccola
Suu Kyi si ciba fin da piccolissima di pane e politica, ma la sua ascesa non è
stata così semplice come potrebbe sembrare.
Nel 1988 il
generale Saw Maung instaura una pesantissima dittatura militare con un colpo di
stato che porterà il Paese a vivere degli anni difficili, segnati dalla paura e
dalla rassegnazione. Aung San Suu Kyi non vuole cedere e fonda la Lega
Nazionale per la Democrazia. La sua fonte di ispirazione? Niente di meno che il
Mahatma Gandhi, leader del movimento della non violenza. Politica che Suu Kyi
adotta in opposizione al terrore imposto dalla dittatura militare in atto.
Come reagisce
il regime? Condannandola agli arresti domiciliari fino al 1990, anno in cui
vengono indette elezioni libere che segnano la vittoria schiacciante della Lega
Nazionale. Tuttavia, i militari non accettano questa palese vittoria e con un
nuovo colpo di stato tornano al potere.
Nell’anno
successivo, il 1991, Aung San Suu Kyi riceve il premio Nobel per la pace che,
però, non può ritirare perché condannata nuovamente alla semi-libertà: può
decidere di abbandonare il Paese, senza però la possibilità di farvi ritorno. Non
finisce qui: le viene negato il diritto di vedere il marito, malato di cancro,
per un’ultima volta, perdendolo così senza poterlo abbracciare o stringergli la
mano nei suoi ultimi respiri.
Ma Aung San
Suu Kyi non è sola: tutti parlano di lei, tutto il mondo si interessa alla sua
storia; le vengono dedicate canzoni da artisti del calibro degli U2 o dei R.E.M.
(che, tuttavia, vengono censurati in Birmania).
La dittatura
militare fa paura, ma fa ancora più paura la ripercussione internazionale che
il caso di Suu Kyi sta generando.
Nel novembre
2010 è finalmente libera. Nell’aprile 2012 ha ottenuto un seggio nel parlamento
birmano e a giugno dello stesso anno ha ritirato il Nobel per la pace.
La strada
per la vera libertà è ancora lunga. Tuttavia, anche durante i lunghi anni degli
arresti domiciliari, Aung San Suu Kyi non ha mai smesso di lottare per la sua
Nazione, la Birmania, e ora, finalmente, può davvero concretizzare tutti i suoi
sogni.
Volere è
potere, anche se non è facile, anche se la strada è lunga e in salita, anche se
tutti hanno smesso di crederci. Il mondo può davvero migliorare… Se solo ci
fossero più Aung San Suu Kyi, anche se, in fondo, tutti possiamo esserlo!
Devo proprio
aggiungere parole per spiegare perché è la donna che stimo e apprezzo di più,
oggi?
- Sher
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